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Sui binari della Valchiavenna

Luoghi, paesaggi e racconti.
a cura di Paolo Rotticci
foto di Francesco Triaca

Nato a Chiavenna e cresciuto nel borgo di Mese, Paolo Rotticci ha sempre nutrito una profonda passione per la cultura e il territorio che lo ha visto crescere. Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ha dedicato impegno ed energie a promuovere e valorizzare le ricchezze storiche e culturali della Valchiavenna e della Provincia di Sondrio, collaborando attivamente con enti, scuole e associazioni locali. Oggi, oltre a insegnare Storia dell’arte con grande passione, è un’apprezzata guida turistica che accompagna molti visitatori alla scoperta dei tesori nascosti di questa affascinante regione. Il suo legame con il territorio si esprime anche attraverso il lavoro con il Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, la Società Operaia di Chiavenna, il Museo del Tesoro, ScuolAperta e l’associazione La Molinanca di Mese, con cui collabora per mantenere viva la memoria storica e la cultura locale. 
 
Forse i pendolari assonnati del mattino o gli adolescenti che lo utilizzano per la scuola o lo svago, non danno troppo peso a quello che vedono fuori dal finestrino del treno che percorre la tratta Chiavenna-Colico, tuttavia questo percorso è anche un ottimo collegamento tra vari punti di interesse storico artistico, naturalistico oltre che di semplice svago vacanziero, lungo tutto il piano della Valchiavenna. Sembrano lontani i tempi in cui vecchie carrozze transitavano lente e rare, quando quella stessa linea era destinata ad essere chiusa quale “ramo secco” del sistema dei trasporti su rotaia. Oggi i treni sono nuovi e confortevoli, i viaggi hanno una frequenza oraria regolare dalle 6 alle 20 in ogni giorno della settimana, mentre i costi rimangono molto limitati e i tempi di percorrenza concorrenziali a quelli in automobile.

L’attuale Stazione ferroviaria di Chiavenna è perfetta per partire lungo un itinerario tra monti e lago, grazie agli ampi parcheggi vicini e la prossimità al centro storico, oltre alla stessa presenza degli sportelli del Consorzio Turistico, utile per delle informazioni anche all’ultimo minuto. La possibilità di prevedere una parte del viaggio in bicicletta o a piedi, grazie alle fermate del treno non lontane dal circuito delle piste ciclopedonali del piano valchiavennasco, rende poi la prospettiva di un viaggio in treno ancora più adattabile ai bisogni e ai tempi dei singoli fruitori. Tutto ciò fa di questo mezzo una valida possibilità anche per un utilizzo a scopo turistico, un mezzo comodo per chi preferisce evitare la guida nel traffico o i tempi lunghi di una camminata tra mete di visita distanti tra loro.
 
Un percorso in cui ogni fermata può diventare la scoperta di un angolo della bassa Valchiavenna, ogni scorcio visto dal finestrino una prospettiva nuova su spazi verdi nel piano o nelle montagne che si alzano a levante come a ponente. E allora proviamo a salire in carrozza anche noi e ad apprezzare quello che è possibile osservare. Ancora prima di partire notiamo che la stazione di Chiavenna è un ultimo avamposto verso nord delle ferrovie realizzate dopo l’Unità d’Italia, con la linea attiva sin dal 1886, prolungamento ultimo di quella Milano-Monza che fu la prima ferrovia realizzata nel 1840 nel nord Italia ancora asburgico. La presenza così datata in un centro piccolo come Chiavenna la dice lunga sull’economia locale del tempo, un periodo in cui vari prodotti nascevano nella vivace industria chiavennasca e le botti del pregiato birrone di Chiavenna lasciavano i vicini crotti di Pratogiano per essere trasportate in varie località d’Italia grazie a quella stessa ferrovia. Una stazione, che cambiò il volto stesso del centro chiavennasco, con l’apertura dell’attuale corso Matteotti e piazza Bertacchi; una stazione ben direzionata verso la Val Bregaglia, ricordo dell’originario progetto di collegamento lungo quella valle di una linea Chiavenna-Saint Moritz, soppiantato nel secolo successivo dalla ferrovia del Bernina, allungando non poco i tempi di viaggio su rotaia verso l’Engadina. Quel progetto mai realizzato era il segno del diffondersi anche in ambito locale di un elitario turismo di montagna, che ricercava mete curative e paesaggi incontaminati, anche utilizzando il comodo treno. Quel turismo che avrebbe portato, proprio in quei decenni, il poeta Carducci a Madesimo e il pittore Segantini a Maloja. Indica la direzione della Bregaglia anche l’imponente guerriero bronzeo che si erge proprio davanti la stazione stessa, culmine del monumento voluto per i caduti chiavennaschi nella prima guerra mondiale, uno tra i più classicisti e eleganti che si trovino in Lombardia. Noi contemporanei, quasi incuranti, partiamo invece per la direzione opposta a quella indicata dal pacato gigante.
 
Lasciata la stazione, i binari costeggiano la dorsale della Valcondria, alla cui base si allineano i rustici crotti dell’Alpetto, li vediamo dall’alto, sopra il bel ponte ad archi in pietra costruito per superare quell’avvallamento. Volgendo lo sguardo ad ovest, man mano che si avanza, la vista spazia oltre il dosso su cui sorge Chiavenna, alla piana dei vicini quartieri di Tanno, alla leggera salita dei Raschi sino a scorgere all’apice il campanile della chiesa di San Gregorio, nella frazione di Bette, l’ultimo lembo di Chiavenna all’imbocco della Valle Spluga, che si apre verticale, definita dalla corona delle irte vette del Truzzo e, sull’altro fianco, dalla verticale parete rocciosa di Dalò, quella sorta di Bellagio chiavennasco posto a divisione non di due rami di lago, bensì delle due vallate superiori: dello Spluga e della Bregaglia.

La prima stazione raggiunta è quella di Prata Camportaccio, dove la vista sulle vallate a nord e su Chiavenna stessa dal treno è ottima. Molto prossima alla ferrovia questo paese conserva un suggestivo nucleo di crotti, possibile breve tappa del percorso. Riprendendo il viaggio, siamo scortati dal lento scorrere parallelo a noi della Mera, il fiume che dalla Bregaglia solca tutta la valle sfociando poi nel lago di Como, ricevendo in questo punto le acque del Liro, proveniente dalla Valle Spluga. Sempre verso ovest, oltre la Mera, il panorama si apre verso il paese di Mese, dove si scorge l’imponente Centrale idroelettrica di San Francesco, del 1927, inaugurata da Umberto di Savoia, il futuro re di maggio, quando quella centrale
era la più potente d’Europa grazie alla copiosa e ripida discesa delle acque entro percorsi scavati nella roccia dalla vetta del monte Cigolino, che sovrasta il paese. Un’altra piccola centrale, questa volta più moderna e di forme razionaliste, si scorge poco distante dalla ferrovia, lungo la Mera; si tratta della Cabina realizzata tra il 1948 e il ’50 da tre architetti, tra i quali anche il noto Gio Ponti.
 
Lo sguardo ad ovest spazia poi verso le coste boscose di castagni di Menarola e si apre verso l’imbocco della Val Bodengo, legata all’ampio paese che si trova alla sua base: Gordona. Proprio in quella direzione si scorge l’unico colle presente nel piano della Valchiavenna; la strategica altura alberata sulla quale a metà Trecento il vescovo di Como Bonifacio da Modena volle costruire un castello. Di quell’opera di difesa rimangono oggi poche tracce, ad eccezione della cappella di Santa Caterina, ancora visibile, segno di quel lontano medioevo che vide la Valchiavenna e i suoi passi contesi da molti potenti.
 
Mentre ad est la ferrovia si avvicina sempre più allo sperone roccioso su cui poggia lo svettante pizzo di Prata, noi ci prepariamo a cambiare panorama. Il percorso originario dei binari era un tempo esterno, realizzato su un terrapieno di cui si vedono ancora le tracce, fu poi sostituito da una galleria scavata nella roccia, appena usciti dalla stessa, lasciamo la vista precedente e la linea ferroviaria si adatta alla direzione verso sud che assume in questo tratto la Valchiavenna. Ad ovest, si estendono sotto di noi i prati coltivati che precedono il paese di San Cassiano, prossima fermata del treno. Se dal finestrino volgiamo lo sguardo ancora più ad ovest, scorgiamo uno sperone roccioso che affiora proprio dal fondovalle di fronte a noi. Alla sommità dello stesso è visibile la torre di Segname, una rara struttura di segnalazione precedente all’anno 1000, conservata quasi intatta sino ai nostri giorni e raggiungibile attraverso sentieri segnalati, dalla quale il panorama spazia verso nord sino a Chiavenna e verso sud sino alla fine della valle.
 
Mentre giungiamo tra le nuove abitazioni di San Cassiano, proprio presso la stazione, vediamo vicino a noi due edifici religiosi moderni, segno di popolamento in tempi recenti. Un primo campaniletto indica la chiesetta che dal 1893 sostituì quella medioevale alluvionata; mentre una facciata di una casa privata poco distante mostra un bell’affresco mariano cinquecentesco di scuola luinesca. Poco a sud si innalza una nuova e ampia chiesa, realizzata nel 1971, un groviglio di linee spezzate che ricordano una colomba stilizzata, sperimentazione dell’architetto Meroni. Riprendendo il viaggio, il treno esce dall’abitato di San Cassiano sovrastando la strada statale, che si interseca sottostante, fu quello il punto, in cui si schierarono numerosi partigiani armati dopo la liberazione di Milano del 25 aprile 1945, aspettando e controllando la ritirata dei soldati tedeschi provenienti da Como, quegli stessi convogli in cui si nascondeva anche il duce Mussolini; forse, se non fosse stato scoperto a Dongo, oggi i libri di storia citerebbero il suo arresto proprio a San Cassiano.
La fermata successiva è quella di Samolaco, nome del vasto comune che comprende variem frazioni e che ricorda come in quel territorio vi fosse in antico la sommità settentrionale del lago di Como, snodo dell’antica viabilità in valle tra i percorsi via acqua e stradali. La stazione si trova nella frazione di Somaggia, l’unica posta sul lato est della valle. Libera nel piano di Samolaco, la linea ferroviaria scorre rettilinea mentre attorno ai binari compaiono numerosi campi coltivati a mais, oltre a prati e fitte boscaglie. Le due dorsali montuose che creano la Valchiavenna appaiono così differenti fra loro in questo tratto. Quella ad est, verso sinistra, ripida e rocciosa, sembra ricordare le montagne verticali che dipinse spesso nei suoi quadri Leonardo da Vinci, che qui in effetti passò. Descrivendo la Valchiavenna, il genio toscano, cita anche le cadute d’acqua che fanno belvedere; forse oltre a quelle dell’Acqua Fraggia a Piuro, egli pensava anche a quella della Pisaròta, la suggestiva cascata che abbellisce in questo punto l’impervio lato est della valle, inserita in un ambiente naturale ben conservato. Il lato ovest della Valchiavenna appare invece più dolce e alberato, determinato dalle alture del panoramico monte Berlinghéra. Lungo il piede della montagna si susseguono le frazioni di San Pietro e di Era di Samolaco, proprio a monte di quest’ultima, si scorge su un dosso il biancore dello snello campanile e mdella vicina chiesa di Sant’Andrea al Colle, un suggestivo spazio panoramico spunto per una facile passeggiata.
 
Giunti alla fine del piano la ferrovia fa una brusca curva ad est, addossandosi alla montagna rocciosa e alla strada statale. Quel punto è detto la Riva perché, sino pochi secoli fa, lì attraccavano le imbarcazioni che trasportavano persone e merci lungo il Lago di Como e il vicino Lago di Mezzola, giungendo poi in questo ultimo piccolo bacino d’acqua, oggi detto Pozzo di Riva, ma che un tempo era chiamato Lago di Chiavenna. Anche dal treno si possono scorgere gli imbarchi dei secoli passati, delimitati da rialzi in quel granito localen cavato anche a lato della ferrovia, proprio pochi metri prima; granito che prende il nome di San Fedelino dal luogo della prima cava sull’altro lato della valle, in prossimità del tempietto protoromanico realizzato nel punto dove la tradizione narrava fosse stato martirizzato un soldato di nome Fedele, splendido spazio raggiungibile con sentieri ed imbarcazioni. Dal Pozzo di Riva sfociava anche il canale di collegamento al fondaco-fattoria voluto a inizio Cinquecento dall’uomo d’armi Gian Giacomo Trivulzio, che controllò il territorio durante la breve dominazione francese seguita alla caduta degli Sforza, prima della lunga dominazione dei Grigioni. Oggi di quella grande fattoria non rimane più nulla ma la strada provinciale che attraversa i terreni un tempo compresi, prendono il nome di via Trivulzia, ricordando il passato di quel luogo. Aggirato l’antico porto, la ferrovia curva nuovamente a sud raggiungendo il paese di Novate Mezzola, prossima fermata. A breve distanza dalla stazione, visibile dal treno stesso, si trova la chiesa barocca dedicata alla Santa Trinità, che nelle forme e decorazioni attuali, si deve al mecentismo di Francesco Giani, figlio di lavoratori del luogo, che, nella seconda metà del Seicento, divenne vescovo di Sirmio, vivendo a Vienna, presso la corte di Leopoldo I d’Asburgo.
 
Grazie a questa posizione, il Giani, elargì ampie somme di denaro per alcune opere in Valchiavenna, promuovendo la sistemazione anche dell’abitazione familiare e della vicina chiesa di Novate, suo borgo natale. L’interno dell’edificio religioso, pur di modeste dimensioni, conserva stucchi dorati che si stagliano sul fondo bianco dell’intonaco e riquadrano numerose scene affrescate dai pittori Giulio Quaglio e Pietro Bianchi. Di forte impatto è la tenebrosa e realistica tela presente nell’altare di sinistra, che descrive la Crocifissione di Cristo, opera dei fratelli Recchi di Como. L’effetto decorativo d’insieme, già ricco per un paese di modeste dimensioni quale era un tempo Novate, è singolare se paragonato ad altre opere coeve locali e lombarde, in quanto il Giani volle portare nel suo paese d’origine l’eleganza del barocco d’oltralpe. A breve distanza dalla chiesa della Trinità, Novate conserva anche la memoria storica del duro lavoro di scalpellino di granito, molto diffuso in loco nel passato, a cui è dedicato il Museo del Picapréda. Vicino la stazione poi, possiamo anche osservare ciò che rimane del recente passato industriale, osservando lo scheletro di quella che fu una parte dell’industria siderurgica Falck, ormai simile ad un resto di archeologia industriale.
 
Sostando alla stazione di Novate Mezzola è facile imbattersi in gruppi di camminatori o scout che da questa stazione iniziano la camminata verso la Val Codera, convalle interessante dal punto di vista naturalistico, raggiungibile solo a piedi attraverso mulattiere e sentieri, tra i quali anche il Tracciolino, via panoramica di mezzacosta che connette la Val Codera alla Val dei Ratti, poco più a sud, lungo il tracciato nato i lavori della vicina centrale idroelettrica di Campo Mezzola.
 
In questo tratto di Valchiavenna, ad ogni stagione il colore del cielo e delle montagne si specchia nei bacini d’acqua sottostanti, il Pozzo di Riva prima, l’ampio Lago di Mezzola poi. Poco dopo la stazione di Novate, una nuova curva ad est conduce la ferrovia sul fianco nord di questo ultimo lago, che occupa tutta la larghezza della Valchiavenna lambendone i due lati rocciosi. Oltre al lago, alzando lo sguardo verso sud, il profilo montuoso più vicino mostra il panoramico alpeggio di Foppaccia, da cui si gode unam splendida vista sulla Valchiavenna; più distante si vede il profilo del Monte Legnone, che chiude le Prealpi Orobie e introduce allo spazio del Lago di Como. Dopo Novate si scorge il paese di Campo Mezzola, con i semplici campanili delle chiese di San Colombano e di Santa Maria; poi una ulteriore curva e una successiva galleria aprono la vista sul paese di Verceia, dove si trova la fermata del treno.
Ripreso il percorso, fiancheggiando il lato est del lago e la pista ciclopedonale, si può osservare un’ampia vista delle vette valchiavennasche, sino al lontano confine dello Spluga, definito dal profilo del monte più alto della valle: il Pizzo Tambò, che si erge sino a 3279 m s.l.m. Dopo questo breve colpo d’occhio la ferrovia curva nuovamente, seguendo la costa del lago e mostrandoci un ultimo scorcio di Verceia con il campanile della chiesa dedicata a San Fedele. Vari sono i luoghi di ristoro, sport e svago in prossimità del Lago di Mezzola, comodi da raggiungere scendendo nelle stazioni di Novate e Verceia, grazie alla vicina pista ciclopedonale che costeggia il lago.
 
Dal treno lasciamo Verceia passando una breve galleria che attraversa il Sasso Corbè, lo sperone roccioso sul quale il patriota chiavennasco del Risorgimento Francesco Dolzino, fermò per qualche giorno gli austriaci durante i moti del 1848, fingendo di avere un cannone puntato sulle truppe austria che posizionate più a sud, come commemora, proprio al termine della galleria, la lapide posta presso l’elegante fontana pubblica. Accanto alla ferrovia e alla strada la roccia presenta anche un’altra apertura, si tratta della Galleria di Mina, una difesa della prima guerra mondiale che poteva consentire di bloccare i collegamenti stradale e ferroviario con lo scoppio controllato di esplosivi. Si tratta di un suggestivo percorso scavato nella roccia che non venne mai utilizzato e si conserva come allora. Proseguendo verso la naturale fine della Valchiavenna la linea ferroviaria mostra a ovest il Pian di Spagna, un’ampia oasi naturalistica percorribile che termina dall’altro versante della valle con l’ultimo tratto della Mera, mentre a mezza costa si scorge il piccolo abitato di Albonico. La successiva fermata è nel paese di Nuova Olonio, in comune di Dubino.

Il nome del paese ci ricorda come si tratti di una fondazione recente, legata alla bonifica ottocentesca di terreni paludosi, proseguita a inizio Novecento dal santo chiavennasco Luigi Guanella che lì creò spazi di lavoro e una nuova chiesa in stile neoromanico. Idealmente questo paese sostituisce l’antica Olonio, l’abitato di età romana presente in antico poco più a sud e che doveva servire come accesso dal lago verso la Valtellina. L’antica Olonio, devastata dalle piene e dai materiali che il fiume Adda, da est, depositò lentamente in quel territorio, fu abbandonata. Quei depositi alluvionali, con il passare dei millenni, separarono pian piano il Lago di Como dal suo lembo nord, l’attuale il Lago di Mezzola. Sapere ciò ci ricorda, al di là dei confini dettati dall’uomo che la Valchiavenna non sia altro che il tratto settentrionale della vallata del Lario.
 
Proprio al Lago di Como terminiamo il percorso ferroviario, superando l’attuale corso dell’Adda, rettificato in età austriaca, e lambendo due colli boscosi che mostrano i resti visitabili del secentesco Forte di Fuentes, segno del vecchio confine tra il Ducato di Milano e il Territorio dei Grigioni, e del novecentesco forte di Montecchio, utilizzato nelle due guerre mondiali. Poco oltre si giunge al capolinea del nostro viaggio, la stazione di Colico, già in provincia di Lecco. Appena scesi dal treno scorgiamo la vicina costa del Lago di Como, con il porticciolo storico, l’imbarcadero per la navigazione sul Lario e gli spazi aperti a prato, spiagge lacustri dove praticare gli sport d’acqua o sostare godendosi il paesaggio circostante. La connessione con la linea ferroviaria Milano-Tirano, i battelli e i bus verso il Lago di Como, da qui aprono la possibilità di visita turistica anche verso splendidi vicini luoghi.






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