L’idilliaca condizione di questo balcone panoramico sulla valle Spluga, richiama alla mente i versi tratti dal Codice Atlantico di Leonardo Da Vinci.
«... Su per o lago di Como di ver Lamagnia è valle di Ciavenna dove la Mera fiume mette in esso lago. Qui si truova montagnj sterili e altissime chon grandi scogli. In queste montagnie li uccielli d’acqua dette maragonj. Qui nasscie abeti larice eppinj, dainj, stambuche, chamoze e teribili orsi. Non ci si po’montare se none a 4 piedi. Vannoci i villani a tempi delle nevi chon grande ingiengnj per far trabochare gli orsi giù per esse ripe. Queste montagnj strette metano i(n) mezo il fiume. Sono a desstra e assinistra per isspatio di miglia 20 tutte a detto modo... » (*)
Ben si adatta questa celebre descrizione al tratto di valle che da Campodolcino conduce a Madesimo. Chi per altro immaginerebbe che la val San Giacomo, una tra le più aspre e dirupate delle Alpi, domata con una strada da brivido dalla tecnica sopraffina dell’ingegner Carlo Donegani, dopo strapiombi mozzafiato e vertiginose vedute aeree, possa sfociare in una conca cosi accogliente come quella di Madesimo e offrire la sorpresa dei dolci declivi degli Andossi?
Proprio qui conduce la nostra escursione, su questo altopiano nel versante orientale dell’alta valle Spluga, delimitato a ovest dal tortuoso percorso della strada statale n.36 dello Spluga e ad est dal bacino della valle Scalcoggia.
Andossi, denominazione piuttosto particolare che trova probabilmente ragione nella definizione data da Giovanni De Simoni nel suo libro del 1966 (CCIAA-Sondrio) “Toponimia dell’alta valle Spluga” « … ma poiché le regolari onde (per esempio dell’erba ottenute dalla falciatura) sono dette in forma accrescitiva ispregiativa “ andann “, riterrei piuttosto andoss=grosse ande, nome suggerito dalla regolare successione delle ondulazioni del terreno, quasi enormi “andane”... »
Premesso che gli accessi per l’altopiano degli Andossi sono diversi e tutti agevoli, noi prendiamo in considerazione quello che si diparte dal centro di Madesimo, sulla destra orografica del fiume e nei pressi di un evidente cartello indicante la nostra meta. L’escursione, veramente alla portata di tutti, è ulteriormente facilitata dalla presenza di palineria colorata di verde dedicata in inverno ai ciaspolatori. Ci inoltriamo nel bosco di conifere seguendo la traccia che, con una breve serie di tornanti, ci conduce in capo ad una decina di minuti ad una radura. Proseguiamo con un traverso a mezza costa in direzione sud, aggirando così le ultime frange di bosco. Un’ultima impennata, verso ovest, puntando prima ad una baita solitaria e quindi all’ormai visibile osteria della Baitella che sorge, in felicissima posizione, proprio al culmine dell’altopiano. Raggiunta la dorsale e lasciata così alle spalle la parte più impegnativa, a volte ancora innevata sino a primavera inoltrata, pieghiamo a nord lungo la direttrice naturale degli Andossi. E qui inizia il vero godimento, uno sguardo intorno e la bellezza è ovunque e toglie il fiato. L’idilliaca condizione di questo autentico balcone panoramico sulla valle Spluga, richiama alla mente gli stupendi versi del Bertacchi «...Tutto candido intorno a te! Dai lenti ridossi ai balzi agli ultimi ciglioni, tutto un incanto sul creato alpino! Dimenticati i pascoli, i sentieri; una terra tornata al proprio inverno per rinnovare a te le sue stagioni,e rioffrirti intatto il tuo cammino...».
Siamo circondati dalle vette più belle e famose della valle Spluga, ecco di fronte a noi a settentrione, oltre i declivi degli Andossi, il gruppo del Suretta e il pizzo Spadolazzo. Sul lato occidentale il pizzoTambò, massima elevazione della valle, il pizzo Ferrè e tutte le altre vette della valle Spluga fino alle Camoscere. Quindi, a chiudere l’orizzonte meridionale, i monti dell’alto Lario con il lontano profilo del monte Legnone. Dalla parte opposta il monte Groppera con il famigerato “canalone”, il monte Mater e il pizzo Emet ad incorniciare la conca di Madesimo ben visibile sotto di noi.
Avvolti in questa magica atmosfera,ci incamminiamo in direzione dell’antica chiesetta dedicata a San Rocco. Immersi in un mondo da favola, come sospesi in un sogno che è realtà, tra neve e cielo azzurro, tra luci e magici riflessi, ecco concretizzarsi il vero motivo di questa escursione: ovunque, come per incanto, fitte fioriture di Crocus nivea tappezzano le porzioni di prato che per prime, coi tepori primaverili, si liberano dall’inverno. Il croco, o zafferano alpino, spesso erroneamente confuso con il bucaneve, sceglie proprio questo momento, tra Aprile e Maggio in funzione della stagione nivologica, per apparire in tutta la sua bellezza e principalmente in due colori: bianco e viola. Così accade su tutto l’arco alpino ma qui ben si presta a fioriture molto fitte, grazie al particolare andamento ondulato del terreno e all’aiuto concimante dei bovini che vi pascolano in estate. Non mancheranno poi altri fiorellini come ad esempio la Soldanella alpina, caratterizzato dall’inconfondibile apertura ad ombrello e dal colore vivace. Proseguiamo, apparentemente senza una vera meta, vagando piacevolmente tra i dossi ammantati di delicati colori e raggiungiamo il rifugio “Mai Tardi”. Poco oltre, un cartello ci indica a mezz’ora di cammino il lago degli Andossi che in questo periodo si libera dagli ultimi ghiacci. Si tratta di uno stupendo laghetto alpino, frequentata meta estiva, la cui superficie riflette il magnifico corollario delle circostanti vette. Sotto di noi sulla sinistra sono già visibili e a portata di mano il rifugio Stuetta e la strada di Spluga.
Il rientro avverrà seguendo a ritroso il percorso già effettuato, con la possibilità deviando all’altezza del rifugio “Mai Tardi”, di scendere rapidamente a Madesimo. Oppure più comodamente per la statale, se accortamente avremo previsto di lasciare un’auto al rifugio Stuetta.
Spinacini e morchelle La primavera porta con sé anche nuove delizie da apprezzare a tavola. Basta prestare un po’ di attenzione per trasformare una semplice passeggiata nei boschi in un’occasione preziosa per trovare ingredienti unici. Gli spinaci selvatici, che in dialetto chiamano paruc, si riconoscono per le foglie verdi triangolari e farinose al tatto. Crescono soprattutto ai bordi dei pascoli a varie quote, soprattutto vicino alle baite. Il nome latino – Chenopodium – significa “piede d’oca”, la medesima forma delle foglie. La leggenda narra che Enrico IV di Navarra nel 1600 decise di aprire i cancelli del suo parco reale alla popolazione affamata. Qui la gente poté nutrirsi di varie erbe tra cui quel gradevolissimo spinacino selvatico ricco di ferro e vitamina B1. Lo spinacino selvatico può essere cucinato nelle minestre e minestroni, oppure appena scottato in acqua salata in sostituzione degli spinaci, come insalata, in frittata o in aggiunta ai sughi per il condimento della pasta. Altra delizia primaverile sono le morchelle, funghi dall’aspetto originale che si trovano spesso a fatica nel sottobosco. Hanno dimensioni variabili e prediligono terreni umidi e ombrosi, vicino a fiumi e prati all’ombra di larici, frassini e pini. Il cappello di questo fungo è detto mitra, come il copricapo dei vescovi. Le morchelle si possono gustare in un’infinità di modi: l’unica accortezza è di cucinarle molto bene o bollirle. Sono funghi che, mangiati crudi o poco cotti, possono creare intossicazione.
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Relativamente agli aiuti di Stato e aiuti de Minimis, si rimanda a quanto contenuto nel
“Registro nazionale degli aiuti di Stato” di cui all’articolo 52 L. 234/2012 (www.rna.gov.it).