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Il Canalone: 1000 metri di dislivello con il fiato sospeso!

Il Canalone: un´operta d´arte

Un posto di primo piano merita, tra gli ospiti illustri, Dino Buzzati che il 18 agosto 1965 ha dedicato sul Corriere della Sera un gustoso elzeviro alla pista del Canalone, definita un’opera d’arte. A dieci anni dalla morte dello scrittore, il due maggio 1982 Madesimo ha voluto ricordarlo con una lapide murata alla stazione della funivia del Groppera, a 2884 metri di quota.

Si può presentare una pista di sci come un’opera d’arte senza cadere nella vuota retorica? Io penso di sì. Una montagna può essere bellissima, tenere incatenati gli sguardi per ore, provocare nell’animo una intensa emozione. Ma non potrà mai costituire in sé un’opera d’arte, perché l’arte è un prodotto dell’uomo. Quando però l’uomo riesce a scalare una superba parete, soprattutto se la via di salita si impone per audacia, dirittura, eleganza, allora sì viene il sospetto che parlare d’arte non sia fuori luogo. Nel mondo alpinistico ciò è accettato come ovvio. Tra i non alpinisti l’attribuzione è per lo meno controversa.
Guardate, per esempio, la celebre parete nord-ovest della Civetta, la muraglia settentrionale delle Grandes Jorasses, gli strapiombi della Cima Grande e della Cima Ovest di Lavaredo. Di là è salito l’uomo, voi potete distinguere facilmente le muraglie, le fessure, i tetti, i labirinti di ghiaccio su per i quali lo scalatore è passato. Adesso la rupe non è più cosa morta, estranea a noi, feudo esclusivo della natura.
L’uomo in un certo senso se ne è impadronito, l’ha fatta sua, l’ha resa umana. E’ come se sopra una immensa pagina, o una immensa lavagna, finora vergine, qualcuno avesse scritto una affascinante avventura; e anche chi non è in grado di ripeterla personalmente può tuttavia leggerla dal primo all’ultimo capitolo.
In molti casi si tratta solo di coraggio, energia fisica, forza di volontà. Certe volte invece restiamo meravigliati e ammirati di fronte all’intuizione geniale, alla bellezza pura della traiettoria, alla sagacia con cui è stato decifrato il segreto di quelle paurose cattedrali. Ed è allora che gli alpinisti parlano appunto di opere d’arte.
Del resto non tutti i conquistatori di vette sono stati considerati degli artisti. Relativamente pochi i nomi di coloro che in questo senso si sono levati in volo sopra la grande massa.
Come i Preuss, i Dibona, i Duelfer, i Welzenbach, i Solleder, i Comici, i Cassin, i Buhl, i Bonatti, per non ricordare che alcuni dei più famosi.
Più arrischiato, certamente, estendere il concetto di arte a una pista di sci. Qui l’elemento eroico non esiste. Per definizione, una pista, anche se molto difficile, è praticabile da una parte di massa innumerevole di sciatori. Eppure anche in fatto di piste può intervenire l’intuizione, la scelta geniale fra le centinaia di migliaia di pendii nevosi che offre d’inverno una catena montuosa.
Non per smania di paradosso, i “pop” artisti americani e i “nouveaux rèalistes” europei non fanno un po’ la stessa cosa? Ed è ormai quasi comunemente accettato che essi appartengono al dominio dell’arte. Anche loro, molte volte, si limitano a scegliere degli oggetti o delle immagini del mondo circostante, li presentano con particolari modalità, gli attribuiscono significati più o meno esoterici: ed ecco l’opera d’arte. Può trattarsi di un manifesto pubblicitario, di un lavandino, di una fotografia di rivista, di un mucchio di ingranaggi, di un fumetto, di un desco alla fine dell’asciolvere. Spesso l’artista non interviene in alcun modo a completare gli oggetti con colori o altro, ma li lascia così come sono, egli si limita alla scelta.

E allora, se i confini dell’arte sono ormai tanto elastici, è poi tanto irriverente definire capolavoro la pista del Groppera, inaugurata in questa stagione sopra Madesimo? Se la sorvolate in elicottero, vi sembrerà soltanto uno dei tanti canaloni che solcano i fianchi di queste montagne, le quali non vantano straordinariamente splendori. Se invece la percorrete in sci, vi sentirete aprire a una travolgente meraviglia. Gli sciatori che me ne hanno parlato – e alcuni di essi conoscevano bene l’intero repertorio sciistico d’ Europa – sono stati concordi: è la più bella pista delle Alpi.
Il commendatore Enrico Masserini, costruttore della funivia che dal centro di Madesimo porta in cresta, a quasi tremila metri (di là si aprono le discese nella Valle di Lei, senza dubbio magnifiche ma non superiori a tante altre), mi ha detto che il canalone del Groppera da molti anni era il suo “chiodo”, ma tutti gli chiedevano se per caso non fosse diventato matto: avventurarsi con gli sci da quella parte significava rimetterci l’osso del collo.


Infatti quando sono uscito dalla stazione sommitale della funivia, esattamente 2960 metri, e mi sono affacciato alla svasatura che precipita di sotto, la prima volta confesso di essere rimasto perplesso. Dal ballatoio non si può ancora scorgere l’enorme imbuto ma se ne scorge appena l’inizio. E la pendenza, la livida penombra, non lasciano presagire nulla di buono. i mettono gli sci, si traversa a destra per una trentina di metri in scivolata diagonale, ci si immerge col batticuore nel botro. La pista non è stata battuta, la neve non sarà assestata, le virate su di un pendio così severo saranno un problema. E se si cade dove ci si fermerà?
Ma la neve tiene, benché non battuta, esposta a nord com’è, ha, fino a metà giugno, la perfezione tipica dell’alta montagna. Le concavità del primo erto cunicolo lusingano i movimenti aiutando le curve con elastico rimbalzo da un versante all’altro. Ben presto la stazione della funivia scompare lassù in alto, ci si trova immersi nel cuore del canalone. E all’improvviso le rocce, le creste, i contrafforti, le gobbe che da lontano parevano insulse forme, acquistano, visti da presso, una intrigante personalità.
Che cos’è un canalone? Perché, rispetto alle piste aperte che sono la grandissima maggioranza, offre singolari voluttà? Il canalone è un corridoio, uno scosceso viale, una lunga prigione in cui si resta chiusi. Da una parte e dall’altra impraticabili quinte di rupi. C’è molto più carica di solitudine. C’è un gioco molto più fantastico di luci e di suoni. E c’è l’incanto dell’intimità, lo stesso che si assapora, in parete, su per i grandi camini a diedri, intimità veramente simile a quella della nostra camera da letto; per cui le lingue di neve, le infossature, i macigni, gli aerei baldacchini assumono un’espressione pressoché umana. Si direbbe che qualcuno ci aspetti, che ci spii di tra le rocce. Ogni angolo, cavità, anfratto, sembra invitarci a restare, promettendo misteriose beatitudini. Nei canaloni, non sulle pareti o sulle creste, vivono gli elfi, gli gnomi, gli antichi spiriti della montagna.
Attraverso il favoloso scenario, la pista si incurva, si allarga, spaziando in vertiginosi anfiteatri, si raccoglie a cucchiaio, concede respiro, poi si restringe di nuovo, si impenna come se dietro quella gobba si spalancasse un impossibile abisso. Ma anche l’erta strettoia fa di tutto per non scoraggiare come le curve soprelevate dei velodromi felici , anzi trascina agilmente gli sci in armoniosi zig-zag che riescono da soli. Quindi si allarga ancora in maestose cavee ciascuna delle quali ha una luce particolare, un’espressione e una atmosfera diversa dalle altre.
Altri due canaloni sono giustamente famosi nelle nostre Alpi, tutti e due sopra Cortina: le Tofane e il Cristallo. Quello del Groppera (che brutto, zotico e inelegante nome, però) li supera per potenza architettonica. Mille metri secchi di dislivello, tre chilometri e mezzo di percorso. Dopodiché il divino toboga si estingue a ventaglio su di un vasto pianoro. E qui riprende la febbre.
Presto allo “skilift” che riporterà su alla stazione intermedia della funivia, tornare in cima, rimettere gli sci, buttarsi ancora giù per il favoloso scivolo, scrivere sull’interminabile cateratta bianca,  irrigidita tra i dirupi, la nostra piccola fatua personale illusione.
Fino a quando?  

Dino Buzzati (Dal Corriere della Sera del 18 agosto 1965)



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