Chiavenna

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Madesimo

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Campodolcino

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Sabato: 9-12.30, 15.00-18.00
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Ingredienti dimenticati

Testo a cura di GIANLUCA DE FLORIO
foto di MICHELE IOSI
 
Come si tramanda una tradizione? Forse attraverso l´esperienza diretta durante l´infanzia o partecipando alle sagre di paese. Oppure ascoltando i racconti dei nonni, che rievocano tempi passati con nostalgia. Ma, per un forestiero come me, può accadere anche grazie a un vecchio amico che,con generosità, decide di condividere preziose memorie, permettendomi di rivivere una cultura gastronomica ormai quasi scomparsa.
 
Ricordo ancora la prima volta che incontrai Mario Pighetti: rimasi subito colpito dalla sua straordinaria capacità di raccontare e trasmettere agli altri la sua passione per il territorio. Sono passati diversi anni da allora, ma ogni volta che ci vediamo ho la fortuna di scoprire nuovi prodotti. Questo “scambio generazionale” mi ha permesso di sviluppare nuove idee sulla cucina valchiavennasca, allontanandomi dai crotti e dai piatti più famosi, e concentrandomi più sull´uso di antiche tecniche casalinghe e sui prodotti che la montagna offre.
 
Durante uno dei nostri incontri, Mario mi fece assaggiare, quasi per caso, dello sciroppo di pino mugo fatto da lui. Cominciò a raccontarmi nei dettagli come avviene la raccolta corretta di queste pigne, spiegandomi come non danneggiare l´albero e dove fosse possibile trovarle. Mi parlò di un luogo in particolare: il giardino alpino Valcava, sugli Andossi a Madesimo. Un giardino botanico che, come un museo a cielo aperto, presenta diversi tipi di ecosistemi montani, i cui promotori si impegnano nella coltivazione di piante officinali come ginepro, arnica e stelle alpine, oltre a patate rare e in via di estinzione, come quelle di Starleggia.
 
L’obiettivo è chiaro: conservare e tramandare le usanze e la tradizione locale.
Ero affascinato sia dalle descrizioni del mio amico, sia da ciò che avevo avuto il privilegio di assaggiare. Da questi e altri nostri colloqui nacque un’idea particolare: creare un piatto – un dolce, in questo caso – che rappresentasse i nostri scambi di idee e le esperienze che Mario condivideva con me, utilizzando alcuni dei prodotti che avevo scoperto grazie a lui e alle sue storie, tra cui proprio il pino mugo. Così, mi misi alla ricerca. Chiesi al mio “mentore montano” qualche dettaglio su come raggiungere un luogo adatto alla raccolta, e lui mi inviò un messaggio con istruzioni dettagliate, facendo riferimento ai punti cardinali, ad alcuni ruderi lungo il sentiero e a un “grosso sasso scolpito con delle figure”. Una mattina, dopo aver consultato gli orari degli autobus (ebbene sì, a quasi 26 anni non ho ancora la patente), presi il bus per Montespluga e raggiunsi gli Andossi. Dopo mezz´ora di cammino trovai il segno indicato da Mario che mi confermava di essere sulla strada giusta: il masso con le figure. Incantato dalla bellezza aspra del paesaggio, con condizioni di sole e vento perfette, mi misi alla ricerca dei pini. Raccolsi le pignette nelle parti basse della pianta, per evitare di danneggiare la crescita del pino.
 
Erano piccole, spigolose, di un verde rossastro e con un intenso profumo di resina. Data l’abbondanza di alberi, in pochi minuti ne raccolsi a sufficienza per le mie prove. Prima di riprendere il bus verso casa, feci una passeggiata nel vicino giardino botanico, un angolo di paradiso dove trovai molte indicazioni sulla storia e le usanze del posto. Una volta tornato a casa, iniziai i miei primi esperimenti con il pino mugo, cercando di capire i modi migliori per estrarne l’essenza dalle pigne: cottura in acqua, nel latte, in olio, sotto vuoto, e così via. Assaggiando i primi risultati, notai che, a differenza del classico sciroppo, gli estratti avevano un sapore più intenso e tannico, ricco di resina. La mia immaginazione iniziò a correre, esplorando come integrare questo sapore in un dolce.
 
Due risultati mi convinsero di più. Il primo era una spuma in cui le pigne venivano messe sottovuoto con la panna, poi lavorate con yogurt e altri ingredienti per formare una crema, che, con l’aiuto di un sifone per panna montata, si trasformava in una spuma leggerissima. Il secondo, forse ancora più interessante, era una granita a base di succo di mela, che dopo il congelamento presentava un naturale e affascinante colore rosa dal sapore sorprendente: la dolcezza della mela unita all’aromaticità delle pigne lasciava una leggera ruvidità al palato, creando una granita molto rinfrescante, con profumi di bosco e un colore naturalmente acceso. Per me, un successo. Ho avuto modo di presentare questo dolce in occasione del "Mangiare per vigne" a Castel Grumello, in Valtellina. Il piatto completo comprendeva mousse di caprino dell´azienda agricola Aqua Fracta, marmellata di sambuco rosso, tortino e gelato alla polenta, e naturalmente la spuma e granita di pino mugo.






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